Le Corbusier. La
pittura
Flaminio Gualdoni
"Sono nato per
guardare immagini e per disegnare". E ancora: "Il fondo
della mia ricerca e della mia produzione intellettuale ha il suo
segreto nella pratica ininterrotta della pittura. […] Disegni,
quadri, sculture, libri, case e progetti, per quanto mi riguarda
pesonalmente non sono che una sola e identica manifestazione
creatrice rivolta a diverse forme di fenomeni". Così scrive Le
Corbusier nel 1953, illuminando non solo il complesso del proprio
percorso intellettuale ed espressivo, ma soprattutto quel passaggio,
fra il 1917 e il 1918, in cui l’incontro con Parigi è
l’incontro con Ozenfant, al crocevia di un’intuizione
dell’integrazione delle arti che si fa versione moderna del Gesamtkunstwerk
postromantico.
Charles-Edouard
Jeanneret-Gris non ha ancora mutato il proprio nome in quello più
celebre, e soprattutto ancora non ha delineato l’architettura come
disciplina guida del proprio operare. La pittura, in una cultura che
fa delle arts décoratifs un territorio concettuale e
inventivo del quale oggi tendono ormai a sfuggirci i caratteri, è
assai più sorella dell’architettura di quanto una diversa
gerarchia delle arti non più fondata sul disegno, e la
professionalizzazione autonoma dell’architettura, dirà di lì a
pochi anni.
E poi, a Parigi
c’è il Cubismo, ovvero la rifondazione per eccellenza delle arti
plastiche. Molto più che uno stile, è per molti una dottrina, per
taluni una fede.
Albert Gleizes e
Jean Metzinger hanno pubblicato Du cubisme nel 1912, che è,
non va dimenticato, lo stesso anno della Section d’Or alla
galerie de La Boétie, in seno alla quale troviamo sì Braque,
Picasso e Gris, ma anche Léger, Picabia, Kupka, Delaunay, i
fratelli Duchamp, e una pleiade di artisti come Gleizes e Metzinger,
appunto, e ancora Marcoussis, La Fresnaye, Lhôte… E’ il cubismo
‘pubblico’, non quello pionieristico del lustro precedente, in
cui il termine coniato da Louis de Vauxcelles vale spregio, e
neppure quello esclusivo della triade dei grandi che la critica
consoliderà in leggenda. E’ il cubismo restituito a Picasso dal
celebre articolo di Apollinaire per il Salon d’Automne del 1910,
quello della sala 41 degli Indépendants del 1911, quello in cui, in
un dibattito assai più acceso di quanto la manualistica non
ricordi, alla Section d’Or il gruppo di Puteaux che fa capo
ai Duchamp ragiona delle geometrie non euclidee di Poincaré e
Riemann mentre Gleizes e Metzinger sognano una prassi normativa
rigida, e Picasso già recita il ruolo di convitato di pietra.
"Non c’è
una scuola cubista", osserva Olivier Hourcade nel "Paris-Journal"
del 23 ottobre 1912, perché "l’interesse del cubismo è la
differenza assoluta dei pittori tra loro": ed è, negli intenti
di tutti, il cassicismo della modernità. Se Apollinaire parla di
"cubismo dilaniato", la vera ragione profonda della
Section d’Or è di opporre una diversità radicale al concetto
stesso di stile, di scuola, fors’anche d’avanguardia (almeno nei
termini mondani e polemici allora invalsi): è senso della misura,
stabilità, ragione storica d’arte, in cui il passato non sia né
modello né avversario, ma codice genetico.
E’ questo
orizzonte vasto e variegato quello che accoglie Jeanneret al suo
arrivo a Parigi. E’, soprattutto, questa tensione non più
sotterranea a rileggere il cubismo in chiave di pensiero totale,
alla maniera del Rinascimento, a patto di farne trascolorare da
subito gli eccessi teoricistici e le componenti di ‘gusto
d’avanguardia’. Da questa volontà nascono d’altronde le Notes
sur le cubisme, 1916, di Ozenfant, testo lucido e assai più
misconosciuto di quanto occorra, in cui il tremine
"purismo" viene declinato, rispetto ai numerosi purismi
dei secoli addietro, in modo davvero ulteriore. Se, secondo una
sintesi già divenuta slogan, il primo cubismo è stato
"l’art trouble, d’une époque trouble", ora,
sostengono Jeanneret e Ozenfant, "occorre ricominciare tutto da
zero".
La misura di questo
cominciamento ulteriore è data dalla mostra del 1918 alla Galerie
Thomas (la seconda mostra purista si terrà nel 1921 alla Galerie
Druet), in cui il termine Purismo assume i suoi connotati
programmatici, ma soprattutto dalla pubblicazione di Après le
Cubisme, vero testo riflessivo sullo stato delle arti dopo la
fiammata delle prime avanguardie. Di lì a poco, 1920, uscirà il
primo numero di "Esprit nouveau", la rivista che i due
pubblicheranno per un lustro a sostegno del proprio classicismo
nuovo (e il testo Le Purisme esce in "Esprit nouveau",
4, nel gennaio 1921), e che chiuderà i battenti proprio a ridosso
della presentazione del padiglione dell’Esprit nouveau da parte di
Le Corbusier all’Exposition Internationale des Arts Décoratifs di
Parigi. Della partita, nella cerchia della rivista, sono molti, da
Fernand Léger, che va ormai proseguendo su una via che lo porterà
ai semplificati e monumentali anni Venti, a giovani come Roger
Bissière,
che proprio nel primo numero pubblica un articolo dedicato,
programmaticamente, a Seurat.
Léger, assai
prossimo pittoricamente sino al 1924, l’anno dell’avvio delle Compositions
murales di marca non oggettiva e di poggiatura neoplastica, è
il tramite con la cerchia della galleria L’Effort Moderne di Léonce
Rosenberg, che espone in quegli stessi anni Herbin, Laurens,
Metzinger, Léger, Braque, Gris, Picasso, Mondrian, Ozenfant,
Picabia, dove Ozenfant e Jeanneret terranno una mostra memorabile
nel 1923. A sua volta Rosenberg (al pari di Léger, e di Gris) è
interlocutore privilegiato degli italiani "Valori
Plastici", in un dibattito sul "rappel à l’ordre"
nel quale le componenti di formalismo classicista non sono,
soprattutto agli inizi, dominanti su quelle di purificazione
cubista.
E’ notevole
osservare come questa stagione di Le Corbusier pittore, che si
protrae nel cuore degli anni Venti, miri non a smentire l’impianto
cubita della costruzione, ma a renderne evidenti i nodi struttivi
primari, le geometrie interne prime. Non, dunque, un molteplice
unificato; non, soprattutto, un visibile essenzializzato per via di
scrittura plastica, ma una più marcata componente di astrazione,
della quale la contingenza del fenomeno sia labile e transeunte
perché le ragioni sue prime di forma risiedono in una sorta di
percezione profonda e duratura (raramente, ancora, è stata
analizzata la questione della durata in Le Corbusier,
fondamentale, credo, anche nella sua attività progettuale: assai più
quella, fondamentale di resonance, affine quest’ultima per
molti versi all’aura), più sintetica che analitica, più,
verrebbe da dire, pierfrancescana e seuratiana che immediatamente
cubista: "percepire, trattenere ed esprimere l’invariante":
così si legge in Après le cubisme.
D’altro canto, Le
Corbusier assume a riferimento, da subito, le tarsie semplificate di
Gris (penso soprattutto agli Arlecchini degli anni 1918-19),
in cui il valore dei contorni tende a intessere un continuo
spaziale, piuttosto che le bibbie intellettuali della vulgata
cubista. Di Gris, d’altronde, Le Corbusier mantiene anche la
densità degli oggetti, mentre Ozenfant si orienta da subito verso
una nozione di trasparenza – recuperata e resa cruciale
dall’amico piuttosto in architettura – aperta e per certi versi
più mobile. Alla patria d’adozione il pittore-architetto rende,
in questo tempo, un altro omaggio importante. Esso riguarda la gamma
di tonalità impiegate, non la "grande gamme" bensì
l’uso dei bruni e di timbri come lievemente spossati, ivi compreso
il tipico vert-de-gris, che rimonta a una tradizione lunga, i
Le Nain su tutti, ma anche la linea che da Poussin porta a Seurat
attraverso Ingres e Corot.
E’ una "ligne
française", dunque, della quale egli intende farsi interprete,
poco concedendo magari, in questo tempo, ad altre sollecitazioni di
secchezza formale e coloristica, da quelle provenienti da De Stijl a
quelle di marca sovietica. Una linea, d’altro canto, che intende
radicarsi alle fonti stesse della classicità europea: quello spazio
unitario, perfettamente scandito e perfettamente ripensabile, quel
senso di ordine come lògos interno alle forme anziché
frutto d’arbitrio ordinatore, riscrive il canone antico, fa della
bottiglia l’erede della colonna greca, e della figura femminile la
discendente per congeneità della cariatide (né va dimenticato il
dialogo interocrrente, nei primi anni Venti, con le Canefore
e le Donne braquiane, oltre che con il Picasso di quella
stagione formidabile) e del paradigma antropomorfo per eccellenza.
"Il più alto diletto dello spirito umano è la percezione
dell’ordine", si legge in "Esprit nouveau".
Dopo la stagione
purista Le Corbusier rimane tuttavia legato alla forma naturale, a
una sorta di visività essenziale che si distacca dalla
teorizzazione ozenfantiana di "macchina evocante emozioni"
e si fa base di una pittura che si mantiene di forte impegno, anche
se definitivamente assoggettata, ora, all’acme della riflessione
architettonica: la villa Savoye a Poissy è del 1929, e il ragionare
sull’ordine diventa uno dei temi forti dell’idea di spazio
vitale, sintetizzato nei celeberrimi "cinque punti" che
stanno alla base della cultura di ogni architetto moderno. "Là
dove nasce l’ordine, nasce il benessere", leggiamo; e ancora
"nient’altro che pure forme in relazioni precise" lungo
"l’asse dell’armonia": ecco il Partenone, ecco
l’architettura pensata e agita in forma plastica, il passaggio
naturale, per Le Corbusier, ad una architettura che di quella
pittura sia figlia, sino a farsi interprete massima del pensiero
dello spazio; in cui il "mariage des contours" si faccia
struttura storica, e insieme qualità poetica.
In pittura iniziano
i mutamenti. Anche perché, da questo momento, l’artista non
assegna alla pratica una sorta di primazia concettuale e riflessiva,
identificando in toto il proprio nucleo di elaborazione nei
ricercari architettonici. Dal 1928 entrano in gioco gli
"oggetti a reazione poetica", radici, ossa, sassi, forme
comunque organiche che da objets trouvés si trasformano in
attivatori plastici della composizione pittorica. L’irruzione di
un oggetto, di una forma biologica concreta, vanifica l’ordine
compositivo preventivo, agendo come grumo genetico radiante del
quale va trovata la ragione formativa interna, per equilibri
successivi, per processi di stabilizzazione e purificazione formale.
"Questi frammenti di elementi naturali, schegge di pietra,
fossili, pezzi di legno, queste cose martirizzate dagli elementi,
l’usura, l’erosione, la dissoluzione, eccetera, non solo hanno
delle qualità plastiche, ma anche uno straordinario potenziale
poetico". Leggibili sono gli echi del lavoro di Schwitters, e
per altro verso di Arp, e gli umori surrealisti: ma risolti in un
proposito che è, ancora, di ordine, e in questo caso addirittura di
identificazione di un punto limite in cui il valore di oggettività
viva, continui e transiti dalla verità di pittura all’esperienza
sensibile.
Dagli anni Trenta,
ecco sempre più affacciarsi una declinazione monumentale
dell’immagine, pur fedele ai generi originari, e una souplesse
sempre più avvertibile nell’indagine della forma sensibile come
possibile poetico: su tutti, il corpo femminile. Le coloriture
conoscono nuove chiarità, se pure non trasparenze, e maggiormente
avvertibile si fa la curiosità e la disponibilità di Le Corbusier
verso soluzioni appartenenti alla cultura del decorare. La sempre
maggior responsabilità data alla grafia, all’interno della
composizione, con quei segni fluenti che si avvolgono e dipanano in
controcanto a zonature di timbro alto, ci dicono di una idea della
modernità in pittura che passa ormai attraverso una filtrata
economia formale, libera, cantabile, solare.
Edizioni fondamentali dei testi chiave del tempo sono Le Corbusier,
A. Ozenfant, Après le cubisme, (Paris, Commentaires, 1918),
presentazione di C. Olmo, Torino, Bottega d’Erasmo, 1975; Le
Corbusier, Vers une architecture, (Paris, Editions G. Crès
et Cie, 1923), Paris, Flammarion, 1995; A. Ozenfant, C.E. Jeanneret,
La Peinture moderne, Paris, Editions G. Crès et Cie, 1925.
Su Le Corbusier
pittore, cfr. in particolare Exposition Le Corbusier, saggio
di J. Cassou, presentazione di Le Corbusier, catalogo della mostra,
Musée national d’art moderne, Paris, 1953; Le Corbusier
peintre avant le purisme, catalogo della mostra, Musée des
Beaux-Arts, La Chaux-de-Fonds, 1987. Cfr. ancora Le Corbusier
peintre, catalogo della mostra, Basel, Galerie Beyeler, 1971.
Notevole rispetto
alla nozione d’immagine è l’impostazione di D. J. Naegele, Le
Corbusier and the Architecture of Photography, in " Harvard
Design Magazine", 6, 1998; Le Corbusiers seeing things:
ambiguity and illusion in the representation of modern architecture,
Ann Arbor, UMI, 1999.
In generale, Le
Corbusier, L’artiste et l’écrivain, Neuchâtel, Editions
du Griffon, 1970; D. Brady, Le Corbusier: an annotated
bibliography, New York – London, Garland, 1985.
In italiano, C.
E. Jeanneret-Le Corbusier, a cura di A. Izzo, C. Gubitosi, Roma,
Officina, 1979; Le Corbusier. La ricerca paziente, a cura di
B. Reichlin, catalogo della mostra, Villa Malpensata, Lugano, 1980; Le
Corbusier. La progettazione come mutamento, a cura di C. Blasi,
G. Padovano, catalogo della mostra, Università Statale, Milano,
Mazzotta, Milano 1986.
Sul clima del
tempo, utili le letture di G. Severini, Dal cubismo al
classicismo, (Paris, J. Povolozky, 1921), a cura di E. Pontiggia,
Milano, Abscondita, 2001; On Classic Ground: Picasso, Léger, De
Chirico and the New Classicism, 1910-1930, a cura di E. Cowling,
J. Mundy, catalogo della mostra, The Tate Gallery, London, 1991; E.
Costadura, D’un classicisme à l’autre, France-Italie,
1919-1939, Vincennes, Presses Universitaires de Vincennes, 1999.
Sul Purismo,
ricostruzioni definitive sono Ozenfant, Mémoires, 1886 - 1962,
Paris, Seghers, 1968; S. L. Ball, Ozenfant and purism : the
evolution of a style 1915-1930, Ann Arbor, UMI Research Press,
1981; Ein Haus fur den Kubismus: die Sammlung Raoul La Roche:
Picasso, Braque, Léger, Gris - Le Corbusier und Ozenfant, a
cura di K. Schmidt, H. Fischer, catalogo della mostra, Basel,
Kunstmuseum, 1998; Purism in Paris, 1918 - 1925, a cura di
C.S. Eliel, saggi di F. Ducros, T. Gronberg, catalogo della mostra,
Los Angeles County Museum of Art & Abrams, Los Angeles – New
York, 2001; F. Ducros, Ozenfant, Paris, Cercle d’art, 2002.
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